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La sfida dei luoghi ai margini

Contributo di Antonella Tarpino e Vito Teti

E’ proprio dai luoghi che ci pare provengano oggi segnali di vita, spezzoni di racconto, nuove e vecchie forme di Resistenze: i luoghi, spesso sfidati, abbandonati (come le borgate in rovina della montagna cuneese o i paesi della Calabria di cui ci occuperemo), i centri sfigurati dal sisma ma anche dalle ricostruzioni che la loro memoria spesso tradiscono (l’Aquila, l’Irpinia) minacciati (Val di Susa).

"oggi sono quei luoghi a sfidare noi"

I luoghi dunque: abbiamo capito che non ci sono indifferenti. Sono anzi occasioni per ripensare la nostra vita collettiva. Sono in fondo il banco di prova della politica del futuro, per il futuro come il Referendum ha mostrato. I luoghi sono i nostri “beni comuni, come l’acqua, l’ambiente da cui dipendono.
Oggi sono quei luoghi a sfidare noi: e lo fanno, non tanto dal cuore della storia d’Italia facendoci riconsiderare lo spazio geografico stesso da una nuova prospettiva. Quella rovesciata a partire dai margini (oggetto del dibattito che apre i nostri incontri). Dai margini (che siano la montagna spopolata del cuneese, della Valtellina o i paesi abbandonati della Calabria) perché quando il centro, il cuore dello sviluppo è investito dalle macerie, “lavora al contrario”, produce bolle e non risorse, lascia sul campo fabbriche in disuso (abbandonate) è importante cambiare il punto di osservazione, come quando si sbatte davanti a un muro. Cambiare direzione dello sguardo quando in macerie non sono solo gli edifici ma i sistemi di pensiero, le utopie che non funzionano più (la crescita illimitata, i soli sempre splendenti dell’avvenire).

Macerie mute, rovine ci parlano ancora. Ecco che invece, paradossalmente, se cambiano sguardo e parole per dirlo, le aree marginali, “leggere delle rovine”, fuori dal boato di ciò che implode, offrono oggi nuove occasioni. Spazi “di resistenza”.
Ecco che cosa è oggi la Resistenza, le resistenze: un modo diverso di vedere il mondo. E’ questo forse che le pietre, tenaci, persistenti, dei luoghi abbandonati ci mostrano. E’ questo che dell’esperienza del primo Festival del ritorno ai luoghi dell’abbandono (tenutosi a Paralup, nelle alpi cuneesi) vogliamo condividere.
Ecco dove sta il nucleo profondo del cambiamento: rioccupare i nostri luoghi di idee diverse ripensando i luoghi , di parole rovesciate sull’abitare e il lavorare, sulla montagna, sul nord e sul sud. Sulla memoria (che è un’operazione fortemente declinata al presente, una battaglia per consentire ancora alla memoria della Resistenza una presenza nello spazio pubblico). Ma anche sul senso di parole non unilaterali come comunità (ce lo spiegheranno gli amici dell’Irpinia) di identità (perché chi torna, anche con la mente, vede i luoghi con un occhio diverso, sguardi costruiti altrove)

 

 

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