La memoria della ruralità

Edo Bricchetti

 

“Ruralità” evoca considerazioni che spaziano dall’interpretazione più rigorosa del termine a generalizzazioni più disparate, spesso anche distorte. “Thara Rothas” non vuole entrare in questa area conflittuale quanto, piuttosto, ripartire dalla “cultura della ruralità” ovvero da quei valori culturali aggiunti, che, nel corso del tempo, hanno caratterizzato la letteratura di vita e lavoro “rurale” così fortemente radicata nel costume italiano. L’Italia è stata e lo è ancora, per la propria matrice culturale, un Paese eminentemente “agricolo” e, di conseguenza, “rurale”. Lo dice la sua storia fatta di vicende grandi e piccole, la sua resistenza all’opera d’industrializzazione a cavallo del secolo XX e la sua crisi di forte sofferenza rispetto a certe scelte della moderna società. Una sofferenza che ha lasciato sul terreno i ruderi di un lavoro più subìto che accettato, per la verità, e vissuto, il più delle volte, come un male inevitabile. Lo dicono, soprattutto, l’elevata percentuale dei campi ancora coltivati e in abbandono, la smisurata estensione dei borghi dimenticati e disabitati che ancora oggi insistono sul territorio, la compressione innaturale verso le grandi realtà urbane. Se oggi la generale tendenza della società è quella di dismettere in gran fretta il proprio costume rurale per vestire quello, inautentico, di città “tentacolare”, è pur vero che questa pratica non è più senza critiche e correttivi. Da qui l’impegno di Thara Rothas di riconsiderare il concetto stesso di ruralità alla luce di nuovi e più fondati convincimenti, in condivisione con un processo storico ormai avviato da tempo e per una nuova progettualità certamente più a misura d’uomo.

 

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Foto di Lisa Trevisan

 

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